NELLA LOGICA DEL “FARSI PROSSIMO”
RELAZIONE AI TRE CONSIGLI PASTORALI PARROCCHIALI.
15 LUGLIO 2020.
Tutti noi insieme, tutte le componenti delle nostre comunità, ogni uomo e donna che abita in Montichiari, possiamo fare un’esperienza di comunione; qualcosa che ci supera immensamente perché siamo radunati nel nome della Santa Trinità e siamo in comunione con moltissime altre persone che sono la Chiesa.
La Chiesa non sono io, non siete voi ma certamente anche noi partecipiamo della vita divina che scorre nella Chiesa.
Partiamo da un primo slogan:
Non è ciò che capita ma come reagisci a ciò che capita che fa grande la tua vita.
È un insegnamento molto importante:
E’ come reagisci a ciò che capita che costituisce la sostanza della tua vita.
Un esempio: domenica abbiamo programmato una gita in montagna… Possono accadere due cose: o piove e stiamo in casa a brontolare tutto il giorno contro la pioggia o, cambiando meta, andiamo a vedere una mostra in città…
Ciò che capita non lo cambi tu, cambia come tu reagisci a ciò che capita: Questo è fondamentale della nostra vita.
Le cose capitano, sono importanti ma non possiamo essere passivi o cinici, si fa un grande brontolamento anche nei Cpp e dopo i Cpp…
Così uno diventa miracolista: uno si rivolge a Dio e dice: “Fai cambiare le cose magicamente”…
Far cambiare le cose a Dio è il miracolismo: prima o poi Dio cambierà, noi intanto continuiamo fare le stesse cose di sempre.
E’ assurdo fare le cose di sempre e pretendere che i risultati cambino.
Sognare, metterci in moto, non smettere di immaginare qualcosa:
come reagisci di fronte alla pandemia cioè come sogni, come pensi, come osi, come osi cambiare;
Avevamo dei progetti e dobbiamo cambiare qualcosa… in verità, è già cambiato tutto…
La fiducia, la gratitudine, le relazioni: sono tre parole chiave che vorrei tenere presenti nella nostra riflessione di questa sera.
La pandemia ci ha insegnato altre tre aggettivi:
imponderabile, tragico, isolato…
Imponderabile: nella pandemia tutti noi ci siamo sentiti dentro l’imponderabile, qualcosa che non avevamo pensato, qualcosa che non riuscivamo a dominare, controllare, ci ha fatto sentire tutti un po’ più precari…
Prima la parola d’ordine era: “Sicurezza!”
Noi siamo l’Occidente con una grande medicina, una grande tecnologia, noi esigiamo sicurezza, noi vogliamo essere al sicuro.
È arrivato il virus e abbiamo provato incertezza e paura.
E allora come mantenere fiducia nell’incertezza totale.
Dove trovare sorgente per avere fiducia dentro questa paura che ci avvolge.
Seconda parola è: tragico, tragicità.
Le immagini di Bergamo con i camion militari carichi di bare, e il nostro cimitero con più bare durante un funerale… la morte è una possibilità per tutti, a portata di mano.
Della morte non si deve parlare in Occidente…
La pandemia ha messo in evidenza il mistero di morte;
ma allora come rimanere vivi sapendo che si deve morire? come si può credere alla vita sapendo che si muore?
La terza parola è: isolato, isolamento.
Il lockdown ci ha fatto capire che le relazioni sono importanti…
Come l’aria, ci mancano; non è solo un contorno ci mancava l’aria delle relazioni, ci mancava di incontrare nonni, nipoti, amici.
Le relazioni non sono un contorno, sono essenziale, ci mancavano come l’aria.
Sono tre le grandi domande:
Come mantenere fiducia?
Come credere alla vita sapendo che si muore?
Quanto crediamo seriamente alle relazioni?
Per noi credenti queste tre domande sono veramente importanti…
E tutto questo cosa può avere insegnato alla società?
La nostra è una società dove la fiducia era veramente scarsa.
Eravamo una società (pre-Covid) che vedeva il futuro come una minaccia e non come una promessa, i nostri nonni lo vedevano come una promessa … non riuscivamo più a guardare con fiducia il futuro e questo è molto interessante… non si guarda al futuro, non si progetta con tempi lunghi ma qualcosa che deve realizzarsi domani, ogni anno, pensiamo di risolvere qualcosa senza chiederci in realtà fra 10/ 15 anni come sarà… che Chiesa troveranno i nostri figli e nipoti, sempre ammesso che la Chiesa ci sarà ancora…
In noi c’è molta disattenzione alle generazioni future.
Noi siamo come su una barca a remi dove tutti remiamo, remiamo e siamo tutti convinti che non c’è nessun porto dove andare; remare, remare, remare… sapendo che non si va da nessuna parte… sono passioni tristi e da questo nasceva il senso di impotenza, di inutilità…
Erano un po’ queste le questioni della società pre-epidemia…
Succedono tante cose attorno a noi e noi ricurvi a guardarci l’ombelico cioè le emergenze, incapaci di uno sguardo al futuro.
E la questione delle relazioni: non siamo stati dei campioni.
Il soggetto ridotto a individuo (prima del Covid era già così), il soggetto era pensabile a prescindere dalle sue relazioni (nome, cognome, professione) … quando mai qualcuno di noi presenta le sue relazioni, quelle più importanti e le cose che vorremmo fare nel futuro…
Le relazioni erano una specie di contorno; in realtà il soggetto non era tanto in relazione ma come spettatore- consumatore, era la situazione precedente e socialmente c’era l’individuo con le istituzioni ed era azzerato il problema della comunità.
Ancora le relazioni: siamo parte di una società; abbiamo da regalare fiducia, sappiamo creare soggetti cristiani capaci di fiducia?
Le istituzioni come qualcosa da cui guardarsi (Stato compreso) la sanità… oppure da sfruttare.
Interessante: questo era uno dei mali della società precedente;
e oggi?
La pandemia mette in evidenza un problema che c’era già:
Sulla fiducia e sulle relazioni.
Proviamo a definire l’adulto: chi è l’adulto?
È la figura piena, che finalmente vive in pienezza, è questa: “l’adulto è colui che ha toccato con mano il limite della vita e ci crede ancora…”
Abbiamo toccato i limiti e continuiamo a crederci alla vita…
E riusciamo a rimanere in piedi in questa crisi di fiducia, in questo senso di paura poi possiamo essere adulti cristiani, pensate che bello!
Questa è la prima grande vocazione che la pandemia ci consegna.
Il tuo Dio ti aiuta a stare in piedi o sei tu il primo brontolone?
A volte chiediamocelo la nostra Chiesa realmente genera adulti fiduciosi, le nostre azioni pastorali, i nostri riti, sostengono la capacità di fiducia nonostante le botte, nonostante il peso, se provassimo ad analizzare azioni e progetti…
La nostra Chiesa aveva tanti problemi prima, la nostra Chiesa in Occidente ha tanti problemi anche oggi… tre piccoli problemi che avevamo prima del Covid e oggi si ripresentano:
Esculturazione, riduzione della fede a una dimensione della vita, autoreferenzialità.
Tre grossi problemi:
Esculturazione:
vuol dire fuori dalla cultura, la nostra chiesa era fuori dalla cultura non dalla cultura accademica, la cultura intesa come il modo degli umani di stare al mondo; noi stiamo al mondo in modo culturale, in modi diversi vestiamo, diverso mangiamo in modo diverso rispetto agli africani e asiatici.
Esculturazione: la nostra Chiesa era fuori dal modo quotidiano di stare al mondo della gente. E allora come fai a rispondere alle domande della gente se sei in un altro mondo?
Eravamo percepiti come una cosa che sta a lato. Si, c’è la chiesa… non so a cosa serve nella vita quotidiana … ma c’è, è un problema enorme! (Papa Francesco lo ha capito molto bene).
Ed ecco la chiesa come riserva indiana; la nostra chiesa, le nostre parrocchie sono come una riserva indiana.
Le riserve indiane sono quelli spazi dove gli indiani d’America vivono con il loro modo di vestire e di essere…
Gli americani, i turisti vanno fare una gita domenica ma la vita seria è da un’ altra parte; andiamo a vederli una volta ogni tanto, ma la vita seria è un’altra cosa…
Traduco: ogni tanto gli umani vengono in chiesa, la gente viene a messa di mezzanotte, ai funerali … passano, guardano questi vestiti da capi indiani con linguaggi loro e dicono si è interessante… ma è come l’anno scorso…
La vita seria sta da un’altra parte: così dicono molti guardandoci…
Chiesa autoreferenziale:
Noi tutto ciò che facciamo come consigli pastorali e parrocchie lo facciamo in partenza per coloro
che praticano, abbiamo ridotto la chiesa a quelli che praticano, e abbiamo costruito muri di separazione perché tra loro e noi non c’è nessun dialogo…
Tra quelli che sono dentro e quelli che sono fuori, tra il regolare e l’irregolare, e noi ci parliamo tra noi e a forza di parlare tra di noi parliamo in “ecclesialese” cioè parliamo di cose nostre, cose che non interessano a nessuno, e tutto il nostro lavoro è organizzare cose tra noi per …
Cioè siamo autoreferenziali: molte volte siamo così anche noi.
La pandemia arrivata con le sue domande sulla fiducia, sulle relazioni, che cosa ci può insegnare.
Tante cose.
La prima: ci ha insegnato che le nostre parole sono logore…
In questo tempo la Chiesa risponde alle grandi domande dando normative igieniche o discorsi su quando iniziare la messa, l’unico è stato il Papa con una capacità di profezia.
La paura è non parlare della vita concreta…
A volte diamo l’impressione che non teniamo presente la vita concreta di chi sta con noi in questa vita: festa, lavoro, affetti, sofferenza e morte …
Dobbiamo rivedere tutto ciò che facciamo…
Proviamo a metterci dall’altra parte quando organizziamo qualcosa (davvero fondamentale): rimettere in conto la vita concreta per non lasciare domande senza risposta… noi abbiamo una Parola di vita ma è veramente Parola di vita, generatrice di fiducia e allora chiediamoci quanto le nostre messe generano fiducia e costruiscono relazioni o sono una cosa di devoti che non sono credenti sono devoti…
“Volete andarvene anche voi?”
Dal vangelo secondo Giovanni 6,60-69:
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simone Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
“I nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri”.
B. Giuseppe Tovini.
Albert Einstein: a lui è attribuito questa elementare osservazione che ben si adatta a delineare sinteticamente lo scenario della chiesa attuale:
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare sempre le stesse cose”.
A pensarci bene è proprio così: sperare di ottenere risultati diversi, mettendo all’opera sempre i medesimi meccanismi, è un’autentica forma di follia.
Unicamente chi è afferrato da una sorta di follia può in verità immaginare di annunciare per la successiva stagione la vendita di fagioli (i risultati nuovi), mentre getta nella terra del suo campo il seme dei piselli (cioè le azioni di sempre).
“Quando avrete fatto tutto quello che dovete fare (Luca 10) dite siamo semplicemente servi”, siamo servi “inutili” cioè senza utile, senza un ritorno di immagine, senza un doppio fine, senza un guadagno… ma solo con spirito di servizio…
Il caso più clamoroso di questa follia riguarda l’amministrazione dei sacramenti, autentici autogol del sistema ecclesiale contemporaneo più che rappresentare il compimento di un cammino di crescita all’interno dell’esperienza credente, sono diventati da troppo tempo, nella stragrande maggioranza dei casi, la celebrazione pubblica dell’avvio di un cammino al di fuori della vita ecclesiale, sino a quel punto in qualche modo frequentata da coloro che si preparavano al sacramento; pensiamo alla cresima, alla prima comunione ma pensiamo anche al battesimo, al matrimonio ad un appuntamento importante per la vita familiare e comunitaria come sono i funerali…
Qualcosa di tristemente analogo lo si potrebbe dire e lo si dice anche amaramente del modo in cui viene celebrata l’eucaristia domenicale: coloro che la frequentano sono sempre di meno, in genere sempre più vecchi, così come sono sempre meno le attenzioni che la comunità rivolge verso questo momento centrale della vita credente… Si pensi al numero dell’eucaristie che continuiamo a mantenere invariato nonostante alcuni piccoli cambiamenti, indotti più dal Covid che da scelte pensate… alla qualità della liturgia che celebriamo molte volte frettolosa con canti vecchi e stantii.
Si ripete sempre con retta convinzione che la Messa della domenica è il cuore della vita di fede, che tutto deve avere in essa il suo compimento perché le parole diventano realtà, ha portato a fare in modo che la realtà si allontanasse sempre di più dalla fede riguardo dell’eucaristia domenicale: stessi orari, stessi canti, stessa impreparazione, stesso stile omiletico insomma stessa inaudita pretesa che le cose vadano diversamente, pur facendo le cose di 50 o sessant’anni fa…
Gli esempi di una tale follia pastorale nel senso di sperare in risultati differenti con il mettere in atto i medesimi meccanismi potrebbero ovviamente moltiplicarsi.
Il punto delicato della questione è ora che sotto queste condizioni non c’è un futuro per la chiesa.
Il fossato sempre più largo che la comunità dei credenti deve registrare tra il suo mondo e quello delle nuove generazioni, il rapporto ormai interrotto tra la Chiesa e le donne che sono chiamate ad educare, dovrebbe pur costituire per gli operatori pastorali, quella pietra d’inciampo in grado di far aprire gli occhi sulla strana follia che sembra dominare il loro agire.
E dovrebbe portarli ad un irrecuperabile evidenza: la mentalità pastorale che governa la vita spicciola delle parrocchie non è più all’altezza della situazione
Per risultati diversi, occorrono azioni diverse;
Per azioni diverse occorre una mentalità diversa.
Dobbiamo prendere atto che il nostro è tempo di smettere di credere nell’assurdo di poter ottenere risultati differenti portando avanti le cose che si sono sempre fatte.
E allora un piccolo contributo può venire dal nuovo Progetto pastorale post-Covid 2020…
Buona lettura e il Signore, grande nell’amore e nella fedeltà, benedica il lavoro paziente di tutti noi servi “inutili”…
Don Cesare abate.